Astral Doors Notes from the Shadows
Astral Doors
Notes from the Shadows
Metalville Records
L’Heavy Metal dovrà sempre fare i conti con Ronnie James Dio. Altri cantanti come il norvegese Jorn Lande (Masterplan), hanno una timbrica e una interpretazione alla Dio molto efficace, ma questo settimo full-lenght degli svedesi Astral, oltre ad usare lo stile canoro di Dio, riesce a riprodurne genuinamente anche lo spirito, è un album le cui song colpiscono con la potenza dell’anima del mai troppo amato Ronnie, anche dal punto di vista del songwriting.
Cercarvi l’originalità è tempo perso, pure troviamo una certa personalità che leggermente traspare qua e là. Ma più che altro si suona come se si fosse la continuazione della carriera di Ronnie Dio, creando però song così belle, e non ricopiate, da rimanere a bocca aperta.
La voce di Johansson immette arrembante energia, con la cattiveria dai giusti toni; andando oltre la mera imitazione. Le chitarre sono quanto di più classico si possa esprimere solisticamente. Tutti i pezzi sono quadrati, con la pesantezza tecnica adatta allo stile proposto.
Tra i brani migliori proprio le due tracce d’apertura, che stranamente appaiono con una produzione tecnica meno pulita rispetto al resto dell’album, eppure proprio questo ne aumenta il carattere. “Disciples of the Dragon Lord” è forse l’unico brano che lascia Dio per appostarsi nelle vicinanze degli Accept (il tono della voce quando si alza sembra comunque Coverdale, cosa che avviene anche in altri episodi); e risulta uno dei migliori pezzi del lotto. Andando dietro le tracce ammalianti troviamo una corposa “Wailing Wall”; una tipica middle-time “Die Alone”, romantica e profonda; una dinamica e tenace “Southern Conjuration” e una brusca “Walker the Stalker” che può ancorarsi alla tipicità Whitesnake. Una sola, plagia troppo il passato, e perciò è minore; si tratta di “Shadowchaser”. Il lavoro è piuttosto duro e caparbio, soltanto alla fine dell’album si cercano lidi più tranquilli con “Desert Nights”, dove si naviga verso i Rainbow suadenti, e la leggera “Confessions” ma che fanno calare un po’ il valore del lavoro. Piuttosto canonico l’inno “In the name of Rock” che usa una tipologia riffica tratta da “Denim and Leather” dei Saxon.
La copertina è alla Helloween o alla Blind Guardian, ed è in linea coi testi. Il sound è in linea con gli anni ottanta, del periodo precedente alle due band citate, tempo in cui l’epicità si mischiava all’Hard Rock d’annata. Un ottimo album che non cerca novità, ma vuole far rivivere la classe di un periodo d’oro, aggiungendo brani di spessore all’elenco della storia del metal.
Roberto Sky Latini
01. The Last Temptation of Christ
02. Disciples of the Dragon Lord
03. Wailing Wall
04. Shadowchaser
05. Die Alone
06. Hoodoo Ceremony
07. Southern Conjuration
08. Walker the Stalker
09. Desert Nights
10. In the Name of Rock
11. Confessions
12. Shadow Prelude in E Minor (bonus track)
Nils Patrik Johansson - vocals
Joachim Nordlund – guitars
Ulf Lagerstrom – bass
Johan Lindstedt – drums
Jocke Roberg - keyboards